Testo, Parafrasi, Analisi "Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono", Francesco Petrarca

Spiegazione completa della poesia

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    Testo

    Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
    di quei sospiri ond’io nudriva ‘l core
    in sul mio primo giovenile errore
    quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono,

    del vario stile in ch’io piango e ragiono
    fra le vane speranze e ‘l van dolore,
    ove sia chi per prova intenda amore,
    spero trovar pietà, nonché perdono.

    Ma ben veggio or sì come al popol tutto
    favola fui gran tempo, onde sovente
    di me medesmo meco mi vergogno;

    e del mio vaneggiar vergogna è ‘l frutto,
    e ‘l pentersi, e ‘l conoscer chiaramente
    che quanto piace al mondo è breve sogno.

    Parafrasi

    Presso di voi che ascoltate in poesie staccate tra loro il suono di quei sospiri d’amore di cui io nutrivo il mio animo, al tempo del mio primo traviamento giovanile, quando in parte ero un uomo diverso da quello che sono ora, (presso di voi che scoltate il suono) dei diversi stili, in cui io piango e mi esprimo fra le inutili speranze e l’inutile dolore, se c’è qualcuno che sappia per esperienza che cos’è l’amore, spero di trovare presso di lui compassione e perdono.

    Ma ora mi accorgo chiaramente come per tutto il popolo sono stato per molto tempo oggetto di dicerie, motivo per cui spesso ho vergogna di me stesso dentro di me; e la vergogna è il risultato del mio vaneggiare, e il pentimento e il sapere con chiarezza che tutto ciò che riguarda la vita terrena è di breve durata.

    Figure Retoriche

    • Anacoluto: “Voi ch’ascoltate […] spero trovar pietà nonché perdono (vv. 1-8);

    • Polisindeto: “e del mio vaneggiar vergogna è ‘l frutto, / e ‘l pentersi, e ‘l conoscer chiaramente” (vv. 14-15);

    • Poliptoto: “di me medesmo meco mi” (v. 11);

    • Metafore: “sospiri ond’io nudriva ‘l core” (v. 2); “favola fui” (v. 10); “vergogna è il frutto” (v. 12); “breve sogno” (v. 14);

    • Anafora: “di…di” (v. 1 e 5);

    • Epifora: “cuore…cuore” (v. 9 e 11);

    • Allitterazioni: “favola fui” (v. 10); “conoscer chiaramente” (v. 13); “me medesmo meco mi” (v. 11); ripetizione del suono “v” in tutto il componimento “voi; nudriva; giovenile; vario; vane; van; ove; prova; trovar; veggio; sovente; vergogno; vaneggiar; vergogna; breve”;

    • Enjambement: “suono / di quei sospiri” (vv. 1-2);

    • Anastrofi: “del mio vaneggiar vergogna è il frutto” (v. 12); “favola fui gran tempo” (v. 10);

    • Apostrofe: “voi ch’ascoltate…” (v. 1).


    Commento

    Il Canzoniere di Petrarca è una raccolta di 366 poesie, in gran parte sonetti (317), in cui il poeta canta il suo amore, inappagato e tormentato, per Laura. La conflittuale vicenda d’amore non è fine a se stessa, bensì è assunta a paradigma di un’esperienza più vasta: di una continua introspezione, del bisogno di assoluto e del contemporaneo legame con i beni terreni, di un dissidio che non troverà mai una soluzione definitiva, se non nella limpidezza della forma.


    Nel sonetto Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, posto in calce al Canzoniere, ma composto in anni più tardi (probabilmente verso il 1349, dopo la morte dell’amata Laura, le cui “rime in morte” costituiscono la seconda parte del Canzoniere), Petrarca si volge indietro ed opera un bilancio della propria esperienza amorosa. Infatti, rivolgendosi a chi, come lui, soffre pene d’amore, chiede comprensione e perdono perché il suo “primo giovanile errore” (v. 3), l’amore per una donna terrena (Laura) lo ha traviato e lo ha allontanato dall’amore per Dio. Si presenta, dunque, come colui che ha sbagliato in passato ed ora se ne vergogna: il sonetto, pertanto, è al contempo inizio e fine, perché è posto all’inizio, ma ripercorre criticamente l’esperienza passata del poeta. In Dante, questi sentimenti di pentimento erano legati a diversi peccati; qui, invece, l’unico peccato è stato l’amore. L’attitudine all’introspezione e all’autoanalisi è tipicamente petrarchesca, così come la dicotomia tra sacro e profano. Identificare la poesia col suono, la musicalità del verso è molto moderno, come il fatto di invitare noi che ascoltiamo, ossia leggiamo le poesie, a partecipare degli stati d’animo del poeta.


    Il sonetto, fin dalle origini della letteratura in volgare, è la forma canonica della poesia italiana, soprattutto per quanto riguarda la poesia d’amore. Petrarca, inoltre, seleziona i termini da impiegare innanzitutto in nome della musicalità del suono: il canone di parole che dà l’effetto sonoro desiderato dal poeta è molto ristretto. I vocaboli che formano rima o assonanza tra loro, “suono – sono – sogno”, sono le parole-chiave che costituiscono l’ossatura del Canzoniere: la musicalità, la poesia come espressione di sé e il sogno, l’arbitrio. Da alcune espressioni, come “rime sparse” (v. 1) e “vario stile” (v. 5) si desume che la condanna petrarchesca non riguarda solo il suo comportamento, bensì anche la forma delle sue poesie: è, infatti, noto che Petrarca si aspettava la gloria dal poemetto in latino Africa, mentre attribuiva un’importanza minore alle opere in volgare.


    Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, si intrecciano due piani temporali: il presente, che è il tempo della vergogna e del pentimento, e il passato, il momento dell’errore. Petrarca sente angosciosamente il fluire inesorabile del tempo, di cui sono una conseguenza inevitabile la vanità e la precarietà di tutte le cose terrene. La struttura è bipartita: il sonetto è, infatti, diviso nettamente in due parti: le due quartine e le due terzine. Nelle quartine, vi sono rime dai suoni dolci e armoniosi e si parla del pubblico e del contenuto dell’opera. Nelle terzine, notiamo un certo incupimento di significato, sottolineato dalle rime dai suoni chiusi e aspri, e scaturito dalle sensazioni di pentimento, derisione e vergogna che il poeta sente verso l’amore da lui provato, ch’egli considera come qualcosa di vano, al pari di ogni sentimento terreno soggetto alla morte. Questa concezione viene evidenziata maggiormente dall’ultimo verso del sonetto: “che quanto piace al mondo è breve sogno” (v. 14).


    Anche la struttura sintattica è studiatissima: le due quartine sono disposte a chiasmo: la prima quartina si apre col “voi”, la seconda si chiude con “spero”; inoltre, notiamo una grande distanza tra il destinatario dell’invocazione “voi ch’ascoltate” e l’invocazione stessa “spero trovar…”. La ricercata aggettivazione, tutta negativa, mette in risalto il tema-chiave del sonetto: la vanità dei beni terreni.

    Fonte

    www.fareletteratura.it
     
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